Come l'HIV entra nel genoma - I ricercatori identificano un meccanismo finora sconosciuto

I risultati forniscono nuovi approcci terapeutici per controllare in modo specifico i serbatoi di HIV nell'organismo

17.09.2025
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I ricercatori del Centro tedesco per la ricerca sulle infezioni (DZIF) dell'ospedale universitario di Heidelberg hanno decodificato un meccanismo finora sconosciuto con cui l'HIV-1 seleziona i suoi bersagli di integrazione nel genoma umano. Il team di ricerca guidato dalla dottoressa Marina Lusic, scienziata del DZIF, ha identificato gli ibridi RNA:DNA (R-loop) come segnali molecolari per il virus. Questi risultati rivelano una vulnerabilità chiave nel ciclo di vita dell'HIV-1. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Microbiology, forniscono nuovi approcci terapeutici per controllare in modo specifico i serbatoi di HIV nell'organismo. Questo è stato uno dei maggiori ostacoli alle terapie a lungo termine o curative dell'HIV.

Grazie alla terapia antiretrovirale, le persone affette da HIV possono condurre una vita quasi normale. I farmaci antiretrovirali impediscono al virus di moltiplicarsi, ma devono essere assunti quotidianamente per tutta la vita. Tuttavia, qualsiasi interruzione del trattamento - dovuta a un accesso limitato, a interruzioni delle forniture o a problemi di aderenza - può provocare un rapido rimbalzo virale e, cosa più preoccupante, la comparsa di varianti dell'HIV resistenti ai farmaci.

Il virus dell'HIV infetta principalmente le cellule del sistema immunitario, ancorando il suo materiale genetico in particolare nelle cellule T. Una volta integrate, queste sequenze virali si trasformano in un'altra sequenza. Una volta integrate, queste sequenze virali creano un serbatoio di infezione per tutta la vita. L'enzima integrasi dell'HIV-1 è responsabile dell'inserimento del virus nel genoma dell'ospite, costringendo le cellule a produrre nuovi virus e consentendo il continuo processo di infezione. "Finora non è stato del tutto chiaro come l'integrasi dell'HIV-1 selezioni i suoi bersagli di integrazione nel genoma. Una comprensione più approfondita di questo processo è fondamentale per sviluppare nuove strategie terapeutiche e affrontare i serbatoi virali persistenti che non possono essere eliminati dalle terapie esistenti", afferma la dott.ssa Marina Lusic, scienziata del DZIF presso il Center for Integrative Infectious Disease Research (CIID) dell'ospedale universitario di Heidelberg, che ha guidato lo studio.

Gli ibridi RNA:DNA come segnali di integrazione del virus

Il team di ricerca è riuscito a dimostrare che l'HIV-1 non invade il genoma in modo casuale, ma utilizza segnali specifici: i cosiddetti ibridi RNA:DNA o "R-loop", che si verificano principalmente nelle regioni non codificanti dei geni attivi. I ricercatori hanno mappato queste strutture nelle cellule immunitarie umane e hanno dimostrato che l'integrasi virale si aggancia proprio a questi punti. "Il virus segue queste strutture come se fossero segnali su una mappa e trova così i siti di integrazione appropriati", spiega la dott.ssa Carlotta Penzo, ricercatrice post-dottorato senior nel team della dott.ssa Marina Lusic e prima autrice dello studio. "Un altro importante risultato della nostra indagine è che uno specifico partner cellulare, l'enzima Aquarius, aiuta il virus nel riconoscimento dell'R-loop, consentendo l'inserimento dell'HIV-1 negli ibridi RNA:DNA".

L'enzima di splicing RNA elicasi Aquarius (AQR) svolge un ruolo chiave in questo processo. Agisce come una sorta di apriporta, legandosi all'integrasi dell'HIV-1 e promuovendo l'integrazione mediante lo svolgimento dei loop R. "I nostri risultati mostrano che la rimozione di AQR riduce significativamente il tasso di integrazione. Gli eventi di integrazione rimanenti si spostano verso regioni povere di R-loop, una prova evidente dell'associazione tra l'integrazione virale e l'attività di AQR sugli R-loop", afferma Penzo.

"Questa scoperta apre una nuova strada per l'intervento sull'HIV. Se riusciamo a interrompere la capacità del virus di utilizzare le strutture di RNA dell'ospite per l'integrazione, potremmo essere in grado di limitare o reindirizzare i luoghi in cui l'HIV si nasconde e, in ultima analisi, ridurre o eliminare la necessità di una terapia a vita", afferma la dott.ssa Marina Lusic. "Questi risultati sono particolarmente significativi alla luce della crescente instabilità globale delle cure per l'HIV. In molte regioni, la fornitura continua di terapie antiretrovirali non è garantita, con il risultato che le interruzioni aumentano significativamente il rischio di fallimento del trattamento e la diffusione di varianti virali resistenti".

I risultati rivelano obiettivi precedentemente sconosciuti per combattere l'HIV. A lungo termine, il meccanismo R-loop/Aquarius identificato potrebbe aiutare a colpire in modo specifico i serbatoi di HIV nell'organismo che le terapie esistenti non sono in grado di eliminare, indicando così la strada verso forme di trattamento nuove, efficaci e potenzialmente curative.

Finanziamento e collaborazione internazionale

Questo studio è stato sostenuto dal Centro tedesco per la ricerca sulle infezioni (Deutsches Zentrum für Infektionsforschung, DZIF) e dalla Fondazione tedesca per la ricerca (DFG) attraverso il programma speciale di collaborazione SFB 1129. È stato condotto attraverso una collaborazione multidisciplinare guidata dal gruppo della dott.ssa Marina Lusic, in collaborazione con i colleghi del Center for Integrative Infectious Disease Research (CIID) di Heidelberg, tra cui il Prof. Oliver Fackler e il Prof. Hans-Georg Kräusslich. Inoltre, lo studio è stato reso possibile da una stretta collaborazione paneuropea, con il contributo di esperti di bioinformatica, biologia strutturale e retrovirologia degli istituti di ricerca di Zagabria, Padova, Londra e Bordeaux.

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